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Vita Podcast | Europa, chi ha paura della responsabilità di impresa?
Fa ancora discutere l’affossamento, almeno per questa legislatura europea, della Direttiva sulla diligenza dovuta delle imprese, il provvedimento che avrebbe obbligato le nostre aziende a un controllo della catena di fornitura, in fatto di rispetto dei diritti umani e di ambiente. Germania ma poi anche Finlandia, Austria, Italia e in ultimo pure la Francia, sono tornate sui loro passi. Ne parlano Mario Calderini (Polimi), Massimo Giusti (Forum finanza sostenibile) e Simone Gamberini (Legacoop). Ascolta il podcast

 

Mario Calderini

Certamente si è scatenata con tutte le sue forze la parte più forte – e anche probabilmente più conservatrice – delle lobby del business dell’industria europea, che si sono sentite fortemente toccate nei loro interessi e che hanno ritenuto inaccettabili i costi che venivano loro imposti da questa direttiva.
Ci sono però stati anche errori politici importanti, a mio parere, a prescindere dai posizionamenti negoziali che in particolare la Germania, la Francia e anche l’Italia con la sua astensione hanno voluto ottenere. Ci sono degli errori di impostazione politica dell’agenda della Commissione Europea, del Green Deal, di ciò che ha voluto la presidente Von Der Leyen, e Timmermans con lei: aver costruito una narrativa fortissima di transizione verde, dimenticandosi però di due pilastri, o, se vogliamo, di due ruote dell’ingranaggio che devono girare alla stessa velocità della transizione verde, altrimenti anche quest’ultima rischia di essere rallentata.
Queste due ruote sono innanzitutto il racconto della transizione sociale: una narrativa che è stata fortemente schiacciata sulla dimensione verde, legata al cambiamento climatico, che però forse ha dimenticato, un po’ colpevolmente, la associata transizione sociale e il fatto che per portare avanti alla velocità massima possibile la transizione verde – come tutti ci auguriamo – è necessario portare a bordo le persone, i cittadini, le comunità.
L’altra grande questione è che, di fatto, la politica industriale della Commissione Europea e ancor peggio quella del nostro Paese è stata una politica industriale che si è schiacciata sulla componente eco dell’industria e sulla transizione verde e in qualche modo ha portato avanti questa idea che per fare politica industriale bastasse enumerare gli obiettivi di hashtaggreentransition come è stato largamente per il hashtagPNRR italiano.
Io penso che si debba tornare a fare politica industriale a 360°, e al suo interno bisogna avere una componente imprescindibile di transizione verde, senza schiacciarla però solo su questo obiettivo
”.