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La Stampa | Torino nuovo polo dell’innovazione (it)

Torino nuovo polo dell’innovazione sociale

by Mario Calderini

La Stampa, 15th January 2020

 

Quante cose sono cambiate da quando il CEO di Goldman Sachs, nel 2009, sulle ceneri ancora calde della grande crisi finanziaria, osò dichiarare “i dipendenti di Goldman Sachs sono i più produttivi al mondo”, evidentemente facendo riferimento ad una nozione di valore diametralmente opposta a quella basata su società e comunità che Raghuram Rajan ha posto al centro della visione di terzo pilastro per la società che ha raccontato qualche giorno fa su questo giornale.

Nel giorno della terza lettera di Larry Fink, l’amministratore delegato di Blackrock che ogni anno tiene a ricordare l’imperativo dell’impatto sociale e ambientale di imprese e finanzieri, Torino ha ospitato, in occasione dell’inaugurazione del Cottino Social Impact Campus, un dibattito che inaugura probabilmente una nuova stagione di pensiero più critico e consapevole su quella che molti ormai chiamano impact economy o, i più audaci, rethinking capitalism.

Non è un caso che avvenga a Torino, una città che sta perdendo i suoi grandi asset industriali e vede l’opportunità di sostituirli con asset comunitari e valoriali, intercettando una trasformazione globale e facendone un motore di produzione di valore.

Quella di ieri è stata una straordinaria rappresentazione delle contraddizioni che animano il dibattito e che emergono quando si mettono a confronto interlocutori che condividono l’obiettivo di ridefinire un modello di crescita e innovazione inclusiva ma partono da presupposti radicalmente diversi, come quelli che hanno proposto ieri Mariana Mazzucato e Raghuram Rajan: da un lato l’idea che il capitalismo si riformi partendo dal suo stesso cuore promuovendo un modello di impresa e finanza generativa in contrapposizione a modelli estrattivi, dall’altro l’idea che la società, le comunità, l’innovazione sociale dal basso possano offrire soluzioni locali che si strutturano in traiettorie di sviluppo alternative.

Vi sono due elementi che rendono straordinario questo dibattito.

La prima è la chiarezza dell’obiettivo e l’urgenza di raggiungerlo. La seconda è la coesistenza nello stesso dibattito di ricette che hanno a che fare con esperienze di innovazione sociale legate alla promozione della raccolta rifiuti al rione sanità o la produzione comunitaria della birra nel quartiere Bovisa, con le regole di governance delle imprese globali, il ruolo dello Stato e di un nuovo contratto sociale tra stato e settore privato, per dirlo con le parole di Mariana Mazzucato. Una complessità e un salto di paradigma che Guido Palazzo di HEC Losanna ha descritto plasticamente richiamando l’immagine gramsciana del vuoto di transizione nel quale i vecchi valori non ci sono più e ancora non si intravedono quelli nuovi. Un labirinto nel quale è facile smarrirsi, una matassa così multidisciplinare e complessa da sembrare quasi inestricabile. O forse sì, ma solo attraverso un investimento in educazione e ricerca, consistente e in discontinuità con i modelli di riferimento tradizionali e con l’approccio un po’ di maniera con cui le università italiane stanno affrontando il tema della crescita inclusiva.