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La Repubblica | Economia sociale la svolta europea

Economia sociale la svolta europea

by Mario Calderini
La Repubblica, 10th December 2021

Ieri è stato un giorno speciale per le oltre quattordici milioni di persone che in Europa lavorano nel perimetro dell’economia sociale. La Commissione Europea ha ufficialmente lanciato il Social Economy Action Plan, insieme ad altri provvedimenti importantissimi che mettono l’economia sociale al centro di un nuovo modello di Europa sociale e produttiva per il prossimo decennio. L’economia sociale comprende tre milioni di organizzazioni articolate in forme molto diverse, come cooperative, imprese sociali, fondazioni, associazioni, società benefit, accomunate da alcuni elementi distintivi: la prevalenza del proposito sociale sul profitto, il reinvestimento degli utili o di parte di essi in attività di interesse collettivo o generale e sistemi di governance aperti e partecipativi. Si tratta di organizzazioni spesso fortemente imprenditoriali, con volumi di fatturato importanti, strutturate managerialmente, capaci di accogliere innovazioni anche tecnologiche, finanziarizzate e a tutti gli effetti parte del cuore produttivo delle economie degli Stati membri. In Francia e in altri Paesi, per esempio, rappresentano circa i110% del prodotto interno lordo. Il Social Economy Action Plan traccia un solco politico significativo in termini di nuove forme di fiscalità, di percorsi agevolati nel regime degli aiuti di Stato, di forme di sostegno finanziario, di schemi innovativi di appalto e acquisti pubblici, di omogeneizzazione dei modelli societari e del quadro legislativo tra gli Stati membri. La lettura politica del provvedimento presenta almeno tre tratti significativi. In primo luogo, la Commissione riconosce il ruolo decisivo dell’imprenditorialità sociale nel rendere più giusta, equa e inclusiva la transizione verde e la lotta al cambiamento climatico. In secondo luogo, l’economia sociale e il terzo settore vengono identificati come elementi costitutivi delle politiche industriali e dell’innovazione e non solo delle politiche sociali. In terzo luogo, la Commissione attribuisce all’imprenditorialità orientata all’impatto sociale un ruolo decisivo nelle politiche di coesione e nella riduzione di quelle diseguaglianze territoriali su cui decenni di fondi strutturali hanno inciso pochissimo. Ma la forza politica dell’iniziativa si coglie soprattutto mettendo insieme l’intero pacchetto di iniziative che la Commissione sta prendendo in queste settimane. In primo luogo, il riconoscimento della Social and Proximity Economy tra i quattordici cluster industriali su cui poggia la rinascita industriale e il conseguente rilascio, in queste ore, del Transition Pathway che dà corpo a questa strategia. Inoltre, la Direttiva sui lavoratori di piattaforma approvata ieri, l’iniziativa sui Cluster dell’Innovazione Sociale e soprattutto il Data Governance Act con il quale, tra molte altre cose, la Commissione introduce il principio del data altruism e istituisce le data cooperatives, riconoscendo l’importanza dei principi e delle organizzazioni del sociale nella buona e corretta gestione dei dati come bene condiviso. Come evidente, un complesso articolato di azioni che testimoniano, in Europa, un salto di qualità nella percezione politica del ruolo dell’economia sociale e della sua capacità di candidarsi, insieme, come motore di crescita e pilastro di un nuovo modello di welfare trasformativo. Un’accelerazione politica che in Italia dovrebbe suggerire a politici e economisti di riaggiornare la loro visione del terzo settore e soprattutto di quell’effervescente spazio ibrido che sta tra il terzo settore e il prora. Dopo la fiammella di speranza che si è accesa con la decisione di conferire le deleghe dell’economia sociale al Mef e non al ministero del Lavoro, si è per ora rimasti a una visione novecentesca e ideologica del ruolo del terzo settore, soprattutto nel Pnrr dove lo stesso terzo settore è poco più che accessorio e l’economia sociale non pervenuta. E infatti, tra i molti pregi del Pnrr non c’è purtroppo quello dell’empatia e di una visione moderna di inclusione. Potrebbe forse aiutare una rilettura della lezione di Karl Polanyi, che ottant’anni fa, prefigurando una terza via tra Stato e mercato basata sui valori della cooperazione, del mutualismo, della reciprocità e del dono, in tutto precorreva quanto la Commissione sta cercando di fare oggi.