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La Repubblica | La sostenibilità rivoluzionaria (it)

La sostenibilità rivoluzionaria

by Mario Calderini.

La Repubblica, 24th march 2021

 

È iniziata una nuova fase nella lotta per gli obiettivi di sostenibilità ed è molto più cruenta di quella precedente. Emmanuel Faber, che aveva fatto di Danone una delle imprese leader dell’economia sostenibile, è stato spinto a dimettersi per aver sacrificato gli interessi economici dei grandi fondi azionisti a favore degli obiettivi di ambientali e sociali. La banca tedesca DekaBank, accusata di aver dato informazioni fuorvianti sull’effettivo raggiungimento di obiettivi ambientali agli investitori è stata denunciata per greenwashing. I casi di contenzioso sul bilanciamento tra interessi economici, ambientali e sociali si moltiplicano. La sostenibilità comincia a muovere una montagna di soldi e la soave prosopopea che ci ha accompagnati fino ad oggi lascia spazio ad uno scontro durissimo.  

La posta in gioco è altissima: scongiurare il rischio che l’aver reso la parola sostenibilità un imperativo si riveli una vittoria di Pirro. Il lavoro di attivisti, politici e intellettuali ha fatto sì che oggi non ci sia programma politico o piano aziendale nel quale la parola sostenibilità non stia al centro. Ottimo, ma il rischio è che aprendo la scatola su cui è scritta la parola sostenibilità la si trovi vuota. Se così fosse, perderemmo tutta la forza trasformativa e generativa di cui avremo bisogno di fronte alle prossime sfide. Per questo, la grande questione politica non è la celebrazione della sostenibilità ma la difesa della sua integrità di significato. Chi ha a cuore la sostenibilità come garanzia di prosperità per le prossime generazioni deve prepararsi ad essere radicale e settario, per impedire che il principio venga diluito e trasfigurato fino a diventare inutile. In concreto, significa essere disposti ad includere nel dibattito sulla sostenibilità la nozione di profitto. 

La seconda fase è iniziata quando è stato evidente che mai si sarebbero potuti raggiungere gli obiettivi di contrasto degli effetti del cambiamento climatico o delle disuguaglianze senza che questi fossero adottati dalle imprese e dai grandi capitali finanziari. Da quel giorno, gli obiettivi di sostenibilità sono diventati parte del sistema economico e hanno cominciato a trasfigurarsi, modellati da interessi diversi. Ecco perché oggi il tema non è tanto quello di promuovere la sostenibilità ma di scegliere tra due esiti possibili: una sostenibilità di maniera, rendicontativa, conservativa, omologante, oppure una generativa, trasformativa, inclusiva e, diciamolo pure, rivoluzionaria. 

L’esito non è scontato e, purtroppo, oggi i segnali sono a favore della prima ipotesi. Lo si legge soprattutto nelle metriche con cui imprese e finanzieri hanno deciso di misurarsi in campo ambientale e sociale, i criteri ESG. Criteri che, sotto la pressione di standardizzazione e omologazione esercitata dalle grandi società di consulenza e delle multinazionali rischiano di diventare vuote certificazioni che poco hanno a che fare con la trasformazione valoriale dell’economia. Ci sono quattro grandi questioni aperte. La prima è che storicamente questi criteri sono fortemente sbilanciati verso l’ambiente e ancora molto deboli sul piano sociale e delle disuguaglianze. La seconda è che questi criteri tendono al globale molto più che al locale e rischiano di creare una pericolosissima sottostima degli interessi delle comunità. Terzo, che la standardizzazione tenderà a renderli perfetti per le grandi imprese ed invisi alle piccole e medie imprese. Quarto, che questi criteri sono sempre più inghiottiti da una narrazione utilitaristica secondo cui “con gli ESG si guadagna”, cosa che speriamo vera ma un po’ troppo rozza per essere compatibile con un’idea di sostenibilità trasformativa. Ciò non significa che i principi ESG non siano utili, ma che sarà decisiva la loro interpretazione. Sta per avere inizio uno dei più grandi programmi di intervento pubblico del dopoguerra, tutto ispirato ai principi della sostenibilità. La politica non dovrà ripetere ossessivamente la parola, ma scegliere quale sostenibilità vuole promuovere.