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La Repubblica | Recovery, il progetto del futuro parte già vecchio (it)

Recovery, il progetto del futuro parte già vecchio,
by Mario Calderini

La repubblica, 9th December 2021

Le aspettative erano così basse che non era facile deluderle. E invece è successo, nonostante questa volta ci fossero sia i soldi sia il tempo per programmare come spenderli. Sconcerta in primo luogo la scelta di un genere letterario ibrido, a metà strada tra un documento di visione ed un elenco di progetti. Un documento dal quale è davvero difficile comprendere quale sia la visione trasformativa del Paese cui si ispira il Governo, una visione che l’industria e la società attendevano con drammatica urgenza.  

Il Paese si trova ad affrontare una crisi terribile e una trasformazione epocale, zavorrato da un drammatico problema di produttività e specializzazione industriale.  

Il Piano risponde a questa sfida con un insieme di misure che, per usare un’infelice espressione del Ministro Amendola, potremmo definire un Industria 4.0 un po’ rinforzato. Ottimo piano, concepito però qualche anno fa e senza un’ambizione così radicalmente trasformativa. A complemento, oltre a un indecifrabile riferimento ai microprocessori, il Piano per la Space Economy (ottima idea, ma non era già stato approvato e finanziato dal CIPE quattro anni fa?) e le immancabili cinque paginette sulla trasformazione verde, piene di ottime intenzioni che dovrebbero assorbire gran parte delle risorse disponibili.  

Tutto ragionevole anche se un po’ polveroso, ma un piano industriale di rinascita e trasformazione radicale del Paese lo si immaginava diverso. Per esempio, con una visione di lungo periodo sulle tecnologie che determineranno le nuove catene del valore globali e le relative priorità di investimento in innovazione e conoscenza. Poco spazio al ruolo del Paese nella competizione internazionale basata sui dati, grande rilevanza invece alla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione. Con idee che però somigliano tanto a quelle della cabina di regia del Governo Monti (2012) e riprese in questi otto anni infinite volte dai documenti di indirizzo dall’Agenzia per l’Italia Digitale. Sarebbe forse bastata una pagina di analisi sul perché tutte quelle cose non sono mai state fatte e come far sì che questa volta vengano fatte davvero. 

Sul piano della tenuta sociale del Paese e delle diseguaglianze, il Piano presenta due idee forti, certamente decisive. La prima, non proprio nuovissima, è il Piano di rilancio del Sud; la seconda, invece inedita, riguarda la parità di genere, peraltro strumentata con un’ottima iniziativa concreta sugli Asili. Tutto il resto rimane molto sfuocato sullo sfondo. Ad esempio, di fronte a una trasformazione industriale epocale come quella che ci attende, ci si immaginerebbe un’attenzione verso coloro che dovranno ripensare completamente le loro competenze nel mondo del lavoro un po’ superiore a quelle due righe infilate di nascosto in un ragionamento sul servizio civile.  E difficilmente il richiamo appena successivo ai piani di riforma e a React-EU sembra compatibile con la concretezza

Per quanto riguarda l’inclusione, la coesione e il contrasto alla vulnerabilità colpisce, sullo sfondo di uno smaccato paternalismo statalista, l’assenza di un qualsivoglia riferimento ad un’idea di attivazione delle comunità e di innovazione sociale, a modalità di ingaggio che prevedano un protagonismo della società e del terzo settore.  

Pur riconoscendo al Piano una giusta attenzione alle politiche di coesione nelle aree del mezzogiorno, stupisce che altre forme di coesione e inclusione altrettanto importanti, per esempio quelle che riguardano le periferie, trovino spazio, clandestinamente, all’ombra delle cosiddette “cittadelle dello sport”. A meno che, le cinque righe dedicate alla riqualificazione urbana, tra le pieghe di un taglio prevalentemente immobiliarista, non nascondano una volontà di investire in processi di comunità, dal basso, partecipativi e rigenerativi. I riferimenti alla Strategia aree interne sono naturalmente più che opportuni e aprono una speranza che le politiche di coesione ricevano il giusto impulso dal Piano. Ma davvero di nove righe dedicate alle aree interne era necessario dedicarne cinque alla creazione di tre centri di formazione dei Vigili del Fuoco? Riferimento benemerito naturalmente, ma esemplificativo di quel genere letterario confuso che si è scelto per il Piano. | RIPRODUZIONE RISERVATA