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La Repubblica | Ripresa e diseguaglianza, il fattore competenza (it)

Ripresa e diseguaglianza, il fattore competenza,
by Mario Calderini

La Repubblica, 3rd October 2020

Educare e far crescere le ragazze e i ragazzi a scuola è la prima emergenza. La seconda è dotarsi di un’infrastruttura di apprendimento continuo che non lasci indietro nessuno: mai come nel prossimo futuro avremo bisogno della great equalizer, come Horace Mann chiamava l’educazione e la formazione due secoli fa. Un braccio robotizzato per operazioni complesse o un software che guida il camion erano fino a ieri le rappresentazioni più icastiche che sapevamo dare alle trasformazioni che avrebbero attraversato il lavoro. Oggi sappiamo che lo spiazzamento delle competenze sarà solo in parte legato a crisi endogene al progresso tecnico ma avrà a che fare con fenomeni di cambiamento profondo che nascono all’intersezione di tre effetti combinati: la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, le trasformazioni dell’economia legate al cambiamento climatico e quelle conseguenti alla crisi pandemica. Una tempesta perfetta che non può essere affrontata se non attraverso un ripensamento del nostro modo di apprendere e di trasformarci. Un cambiamento che porta con sé un potenziale di diseguaglianza e insostenibilità sociale così grande che stupisce davvero che la questione dell’apprendimento continuo, il cosiddetto lifelong learning, non stia in cima alla lista di cose da fare per dare un senso alla retorica del trasformare la crisi in opportunità.

Il modello di educazione e apprendimento continuo che ci ha accompagnati attraverso la stagione della cosiddetta economia della conoscenza non ha contribuito alla riduzione delle diseguaglianze ed è strutturalmente inadeguato ad affrontare questa enorme sfida di inclusione e giustizia sociale. In primo luogo, proponendo un modello di elitarismo estetico nel quale merito e status si fondono in un pastone indistinguibile. In secondo luogo, facendo prevalere il principio di adattamento sul principio di trasformazione, in ossequio all’idea che dovere di chi si forma sia dotarsi passivamente di attrezzi specifici per adattarsi ai bisogni dell’economia, come se questi ultimi fossero esogeni ed indipendenti dalle competenze delle persone. Una visione inadeguata per un futuro di complessità tale per cui la soluzione non potrà essere quella di adattarsi divinando sulla domanda di competenze future ma dotarsi delle abilità necessarie a esercitare un protagonismo trasformativo sull’economia e la società.

Infine, superando l’idea dell’apprendimento continuo come bene privato, un gettone da spendere sul mercato, ma aderendo a un’idea di apprendimento come bene comune e patrimonio di comunità. In questo aiutati dalla disponibilità di piattaforme tecnologiche, dalle potenzialità di personalizzazione di massa che vengono dall’intelligenza artificiale e dall’innovazione sociale come veicolo di intelligenza collettiva e apprendimento cooperativo.

La possibilità di trasformare ciò che sappiamo fare è l’unico grande privilegio collettivo che abbiamo in questa transizione. Durante e oltre la crisi, come è sempre stato, le opportunità si moltiplicheranno e si redistribuiranno, tra molti ma non tra tutti. Un modello di apprendimento continuo ispirato a una precisa idea di giustizia sociale eviterà che la redistribuzione avvenga a spese di chi non avrà l’opportunità di ripensare sé stesso nel mondo. Per questo stupisce che nel bizzarro genere letterario del cosiddetto recovery plan del Governo le ossessive parole trasformazione digitale e verde non siano mai precedute, accompagnate e seguite da un’idea di un enorme investimento sulla trasformazione delle competenze, sulle persone e sulle istituzioni che di questo si occupano. I RIPRODUZIONE RISERVATA